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  • Francesco Caracciolo ha ricevuto il Premio alla cultura nel 1985 e nel 1994, conferito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri

  • Ha ottenuto finanziamenti per la ricerca scientifica dal Ministero della Pubblica Istruzione e contributi dal Consiglio Nazionale delle Ricerche

  • È stato Forschungsstipendiat dell'Alexander von Humboldt Stiftung

  • La «sostituzione etnica».
    Pubblicisti, opinionisti,
    politici

    di Francesco Caracciolo

    Un discorsetto del ministro dell’agricoltura del governo italiano fatto il 18 aprile 2023 solleva innumerevoli improperi e accuse. Non si può immaginare – egli spiega – che l’afflusso di immigrati possa colmare il vuoto che va crescendo per la carenza di nascite. Non si può, perché, se la diminuzione delle nascite continua e il numero degli immigrati aumenta, nei paesi come l’Italia, si giungerà alla «sostituzione etnica», cioè al prevalere culturale e numerico della popolazione immigrata sulla popolazione autoctona.
    Questa previsione, che si desume dal discorsetto del ministro, sollecita la suscettibilità di una folla unanime di contraddittori, di denigratori, di accusatori, tutti sedicenti antifascisti, che tacciano il suo autore di razzismo e, quindi, di fascismo e di nazismo. Quotidiani, media, cronisti, opinionisti, politici, tranne pochi, si scatenano contro di lui e la sua frase razzista. Un quotidiano fa del caso una vignetta triviale e offensiva che suscita solo repulsione, contiene il vilipendio ed è spacciata per satira. «Sostituzione etnica» non si può dire – avvertono i critici – perché è una frase razzista, offende l’umanità e trasgredisce i dettami della Costituzione italiana e delle Convenzioni europee e internazionali. E non la deve dire soprattutto chi copre, come il ministro, un’elevata carica dello Stato.
    L’efficacia di tante accuse e di tanti avvertimenti è enorme. Ne risentono certo l’opinione pubblica e specialmente coloro che siedono in parlamento e su uno scranno del governo, coloro cioè che devono temere la disapprovazione dell’elettorato e il calo dei consensi. E gli attacchi di tanti critici e denigratori spaventano realmente i fruitori di consensi elettorali e lo stesso autore della frase incriminata. Il giorno dopo, il 19 aprile, il ministro cerca infatti di ritrattare almeno parzialmente ciò che ha detto, annacquando e sminuendo la verità espressa con la frase da lui pronunziata. Cerca così di sottrarsi al fuoco incrociato dei seminatori di accuse di razzismo e nazismo.
    È incredibile che tante chiacchiere, tanti argomenti vuoti ma ben orchestrati in infiniti discorsi bizantini, possano oscurare e affossare l’evidenza. Non si può certo negare che l’afflusso illimitato di immigrati di innumerevoli etnìe, razze e culture in paesi con bassa e decrescente natalità, sfoci in un tempo relativamente breve nella preminenza non solo numerica dei nuovi venuti e dei loro figli e nipoti sul numero e sui costumi degli abitanti autoctoni dei paesi invasi. Si può prevedere che i preminenti nuovi venuti divengano anche autori delle leggi, fautori delle istituzioni, modelli del costume e del ritmo economico e produttivo, e di fatto si sostituiscano agli autoctoni e siano i  protagonisti della nuova civiltà.
    Questa sostituzione non è imprevedibile e non è un’invenzione. Per averne la prova basta osservare le avvisaglie negli innumerevoli episodi di disintegrazione che si verificano in ogni angolo delle città e delle contrade non solo italiane. Sulla base dei molti dati osservati, basta seguire la logica. Ma il breve cenno che ne ha fatto il ministro ha suscitato e suscita un vespaio di contestazioni. Quel che si dice e che si cerca di dimostrare in tanti sproloqui è inaudito, ma non deve stupire.
    Da oltre venti anni, cioè dall’inizio del Duemila, il tema concernente gli effetti dell’immigrazione sfrenata e della prevedibile sostituzione etnica è stato sviscerato nei minimi particolari. Sono stati esaminati, documentati, elaborati e spiegati avvenimenti allora previsti, in seguito divenuti reali e oggi accennati. Del tema sono colmi quattro manoscritti: «Come muore una civiltà e come sta morendo la nostra», «L’integrazione dell’arcipelago migratorio in Occidente», «Mali estremi», «La folle corsa. Da Schengen a Dublino. Europa e Italia». I quattro manoscritti con le relative proposte di pubblicazione sono stati ripetutamente inviati, in tempi diversi, alle Case editrici. Ma gli editori italiani hanno sempre ignorato quelle tante proposte eludendole con un assordante silenzio che dura ancora oggi. Eppure, in quei manoscritti era ed è elaborato e spiegato ciò che poi si è andato evolvendo, si è verificato e continua a verificarsi. In essi è dato l’allarme. È previsto quale sarebbe stato il non lontano e disastroso effetto di tanta immigrazione. È ampiamente spiegato che l’immigrazione in Italia non è di uno o più popoli, che portano con sé il loro unico mondo, il loro bagaglio culturale, i loro costumi, le loro consuetudini, le loro tradizioni, le loro leggi, le loro religioni e la loro civiltà. A emigrare non sono neppure comunità di decine di migliaia di componenti della stessa estrazione etnica. Ma a emigrare in Italia e in Europa sono miriadi di singoli individui di provenienze, culture, formazione, costumi diversi; individui che non si intendono neppure tra loro e che sono quindi in massima parte non amalgamabili.
    Nei quattro manoscritti si scopre dunque che l’immigrazione non è di popoli o di numerose comunità omogenee e unite da vincoli indissolubili anche se primitivi. Al contrario, è caotica e pericolosa. È immigrazione di individui e di minuscoli gruppi che non si intendono neppure tra loro, restano tra loro estranei e non di rado nemici. Provengono da centinaia e forse migliaia di tribù, comunità, paesi, città, regioni e luoghi sperduti dell’Africa, dell’Asia, del Sud America e di ogni altro punto del pianeta, profondamente diversi per costumi, mentalità, regimi politici e ordinamenti statuali, religione e cultura. Anni fa, la loro integrazione, quella sostanziale, sembrava un miraggio, e oggi molti episodi fanno pensare che essa sia impossibile. Nel tempo, forse, gli immigrati possono integrarsi formalmente, acquisendo la conoscenza della lingua e della Costituzione e la cittadinanza. Ma essi, o la massima parte di essi, non acquisiranno mai il sentimento di appartenenza al paese che li ospita, l’identità nuova, la spontanea devozione allo Stato e alle istituzioni come punto fermo di riferimento, la tranquilla convivenza con gli autoctoni. La loro presunta integrazione potrebbe divenire disintegrazione dell’esistente. La loro numerosa presenza potrebbe essere dirompente. La loro incapacità di integrarsi potrebbe accrescere la conflittualità esistente, aggiungendo nuova conflittualità alla vecchia conflittualità, che gli Italiani ereditano dalla lontana antichità, dagli Italici, dall’antica Roma, in cui imperava il cosmopolitismo e l’immigrazione era parte vitale, in cui cioè prevaleva la promiscuità di molti milioni di individui allora integrati solo formalmente. E la crescente conflittualità potrebbe alimentare l’incipiente sconvolgimento che oggi si manifesta in città e paesi, dove molti immigrati bivaccano, delinquono, aggrediscono, spaventano, si azzuffano, spadroneggiano in interi quartieri, spacciano droga anche in pieno giorno. Ma lo sconvolgimento della società potrebbe presto manifestarsi nell’economia e nelle istituzioni. Non si può escludere che, divenendo preminente, la presenza degli immigrati potrà condizionare le scelte elettorali, la condotta di dirigenti e politici, le leggi, la costituzione, le istituzioni, determinando la sostituzione dell’esistente e dell’attuale civiltà.
    Nei quattro manoscritti, tutto questo è stato spiegato e, a distanza di anni, il ministro ne ha fatto menzione suscitando molte contestazioni. Ma quei manoscritti gli editori li hanno ignorati, li hanno certo ritenuti poco redditizi. Afflitti come sono dalla sola sete di lauto profitto a tutti i costi, hanno declinato le proposte di pubblicazione senza dirlo, mantenendo il più assoluto silenzio e facendo così prevalere l’ingordigia sull’utilità di indispensabili conoscenze. Se oggi molti sono i contestatori del discorsetto del ministro, la spiegazione è da ricercare nella loro superficiale conoscenza dei fatti che sono accaduti e che stanno accadendo. Una conoscenza meno approssimativa di quanto è stato sviscerato a fondo nei quattro manoscritti avrebbe scongiurato la fregola di fare il discorsetto e di opporgli tante contestazioni e tanto clamore.

     

    Francesco Caracciolo

     

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