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  • Francesco Caracciolo ha ricevuto il Premio alla cultura nel 1985 e nel 1994, conferito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri

  • Ha ottenuto finanziamenti per la ricerca scientifica dal Ministero della Pubblica Istruzione e contributi dal Consiglio Nazionale delle Ricerche

  • È stato Forschungsstipendiat dell'Alexander von Humboldt Stiftung

  • La frana dal monte e le case abusive a valle

    di Francesco Caracciolo

    Ormai, quasi ogni anno, in Italia, qua e là, disastrosi cataclismi sconvolgono il Paese e generano distruzione e morte. Ogni volta che ciò avviene dalla Sicilia al Trentino a causa di terremoti, alluvioni e frane, si scopre, anzi si riscopre, quello che si sa da sempre. Ogni volta, politici locali e nazionali, pubblicisti, opinionisti, benpensanti, si indignano. Tutti discettano sull’accaduto per cercare di scoprirne la causa e di denunziare la mancata possibilità di evitarne i disastrosi effetti. Si può dire che questi loro tentativi di scoprire colpe e colpevoli sono relativi a disastri vecchi, anzi antichi, di secoli. E si constata che, nonostante la secolare esperienza fatta dai predecessori, tutti oggi riscoprono per l’ennesima volta che colpevoli dei danni prodotti dalle calamità sono stati e sono l’incuria, la mancanza di prevenzione e gli omessi provvedimenti di amministratori, di politici e burocrati. Emerge dunque che le colpe sono di molteplici soggetti non identificabili e perciò non perseguibili, o meglio, perseguibili in astratto, con chiacchiere e con infinite discettazioni.
    Alle cinque del mattino del 28 novembre 2022, una violenta alluvione, una conseguente enorme frana da un monte e la violenza di acqua e fango travolgono parte dell’abitato di Casamicciola nell’isola d’Ischia. La frana crolla a valle, copre d’acqua, terra e fango decine di case e seppellisce gli abitanti che vi si trovano dentro ancora immersi nel sonno. Tra l’altro, viene fuori la riscoperta che il monte era ritenuto pericolante e che molte di quelle case sparse su quel territorio erano là a rischio di essere raggiunte da qualche smottamento o travolte da qualche frana. Con ingenuo stupore, si constata che quelle case sepolte e molte altre scampate alla sepoltura erano là da decenni, su quelle colline e su quel quasi greto di torrente, su quel terreno malsicuro e proibito. Si riscopre pure che quelle case sepolte e le molte altre scampate erano sempre rimaste là, sotto la spada di Damocle, e che nessuno, mai, aveva importunato i loro proprietari. Si constata che nessuno aveva neppure avvisato quei proprietari di avere costruito le loro abitazioni abusivamente su un terreno pubblico e per giunta minacciato dal pericolo, da possibili smottamenti o dalla possibile caduta di frane. Emerge, anzi, che gli abusi di quei proprietari di case fuori legge erano stati oggetto di indulti vari; che nessuno di quei proprietari abusivi era stato mai ammonito, multato o solo minacciato di punizione o della demolizione della sua casa costruita in violazione della legge; e che le autorità vicine e lontane o difficilmente raggiungibili non avevano mai dato segni della loro proficua esistenza.
    Ora, però, a disastro avvenuto, molte autorità si mostrano indignate e giocano al rimpallo di responsabilità. Gli uni accusano altri della colpa di avere omesso  di intervenire e di proibire. Amministratori locali additano responsabili omissioni di politici, di burocrati, di magistrati e di organi varî, e costoro restituiscono le accuse che ricevono e se ne scambiano altre a vicenda. Dai sofisticati e bizantini argomenti che usano risulta che nessuno di loro è colpevole. Permane dunque l’irrisolto quesito che l’osservatore si pone da tempi remoti: di chi fu e di chi è la colpa di tanta incuria e di tanta letale omissione? La risposta fu ed è una: non si è mai saputo e non si sa di chi furono e di chi sono le colpe di simili danni che furiosi cataclismi produssero e producono nei più diversi luoghi del Paese e in analoghe circostanze. Si sa invece che nessuno è mai risultato colpevole di non avere prevenuto ed evitato i danni prodotti da un cataclisma, anche se quei danni furono conseguenze della sua noncuranza e delle sue omissioni. Anche oggi nessuno risulta colpevole. Non lo è l’indulto e non è da perseguire il politico che lo ha proposto e approvato. Non è responsabile il fantomatico burocrate con la sua inefficienza, la sua indolenza e la sua cavillosità. Non è coinvolto il magistrato che si dichiara estraneo all’accadimento e, anzi, rivela che semmai è da chiamare in causa qualche amministratore il quale si è rivolto a lui per raccomandare indulgenza verso un caso di abusivismo. Il sindaco dice di essere incolpevole e innocenti si dichiarano i sindaci che lo hanno preceduto. Tutti costoro se ne lavano le mani e attribuiscono la colpa dei danni del catastrofico evento alla farragine legislativa, ai cavilli burocratici, agli errori dei politici. L’attribuiscono cioè a soggetti indefiniti e indefinibili, senza volto e quindi senza responsabilità.
    Eppure, il sindaco è l’immediata autorità amministrativa locale. È lui che si sarebbe dovuto quantomeno accorgere della costruzione abusiva di case su suolo pubblico e per giunta esposto a previsto incombente pericolo. È lui che sarebbe dovuto poi intervenire, proibire, far demolire. Era suo dovere prevenire, evocare il pericolo che correva l’abusivo e punire l’inadempiente denunziandone l’abuso e facendo quantomeno demolire la costruzione fuori legge. Ma il sindaco poté non fare e non fece tutto questo. Poté invece poi discolparsi delle presunte proprie omissioni e additare altri colpevoli generici e indefinibili, la burocrazia, la politica, la magistratura e le farraginose leggi. A suo avviso la colpa dell’accaduto fu di tutti loro e non sua. Eppure egli e i suoi predecessori avrebbero potuto mettere un po’ d’ordine in quel territorio facendo un piano regolatore; avrebbero dovuto agire, proibire e punire gli abusivi. Questo loro intervento lo richiedevano il rischio e l’estremo pericolo che correvano non solo i trasgressori ma ogni altro abitante di quella parte dell’Isola per l’incombente minaccia di una sovrastante montagna ritenuta malsicura. Ma ora, come fecero i suoi predecessori, il sindaco non mosse un dito. Si può pensare che non lo mosse perché aveva fiducia nella tenuta, nella compattezza della montagna o per altri sconosciuti motivi o perché credeva che in ogni malaugurato caso non sarebbe stato lui ritenuto responsabile. E non è peregrino supporre che egli attribuisse all’ingarbugliato e indefinibile mondo politico e burocratico il dovere di intervenire. L’attribuiva dunque a un mondo in cui di solito l’autorità e la responsabilità sono di tutti e di nessuno, come gli suggeriva l’esperienza. E l’esperienza gli suggeriva pure che eventuali colpe si potevano trasferire a quel mondo delle molte autorità e responsabilità che si neutralizzano ed annullano reciprocamente. In esso, i diversi poteri con le loro competenze potrebbero costituire un sistema di contrappesi, utilissimo per l’ottimo funzionamento degli organi di ogni parte dello Stato. Ma quei diversi poteri furono e sono spesso invasivi e arbitrari, si contraddicono e si contrastano rendendo nulli importanti provvedimenti. In ognuno di quei poteri prevale la convinzione che si possano facilmente giustificare omissioni e arbìtri. In essi pertanto si perpetua il proprio modo di fare finora incorreggibile e continua così a perpetrarsi la furbizia dello scaricabarile. Il Paese non sa liberarsi degli effetti perversi di siffatta ragnatela, non riesce cioè ad eliminare tare e vizi ancestrali che si annidano indisturbati nel carattere di molti dei suoi abitanti e nelle pieghe del suo tessuto sociale e alimentano conflittualità, inefficienza, ritardi e malcontento, il morbo atavico ereditato dal lontano passato.

     

    Francesco Caracciolo

     

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