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  • Francesco Caracciolo ha ricevuto il Premio alla cultura nel 1985 e nel 1994, conferito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri

  • Ha ottenuto finanziamenti per la ricerca scientifica dal Ministero della Pubblica Istruzione e contributi dal Consiglio Nazionale delle Ricerche

  • È stato Forschungsstipendiat dell'Alexander von Humboldt Stiftung

  • Onorata società e società onorata
    mafia, camorra, 'ndrangheta

    di Francesco Caracciolo

    Quanto segue è tratto dal libro autopubblicato di FRANCESCO CARACCIOLO, Onorata società e società onorata. Mafia, camorra e ‘ndrangheta (pp. 547 e ss.), www.ilmiolibro.it

    L’onorata società, oltre ad essere un’associazione per delinquere rigidamente organizzata, ha scopi che confliggono con quelli dell’intera società e che la setta persegue con mezzi illeciti, violenti e letali. È un’associazione che non si poteva e non si può sradicare catturando e isolando alcuni capi. Per riuscirci, bisogna annientare le migliaia di cosche radicate e operanti nella massima parte dei centri abitati del Mezzogiorno. E si deve fare questo, perché è lì, in quelle migliaia di cosche, che risiedette sempre e risiede la forza e la capacità di agire dell’associazione. E lì che si custodiscono gelosamente il costume e la tradizione. Ed è lì il seme della riproduzione di rami e di foglie.
    Può accadere che in futuro le radici si essiccheranno e l’albero morirà. Ma la sua morte non sarà certo il risultato della repressione condotta dalle istituzioni sporadicamente e settorialmente con piani e provvedimenti stesi a tavolino. Se l’associazione che ha operato finora e che noi conosciamo, morirà, causa della sua morte sarà la vecchiaia. Ma non la vecchiaia dell’associazione, bensì la vecchiaia della società dalla quale l’associazione attinge reclute e quadri. E l’associazione, oggi autrice di crimini e di violenze, morirà o cambierà carattere e connotati quando nella società si saranno estinte la naturale vitalità e la connessa capacità di reagire alla prevaricazione e al sopruso. Morirà quando nella gente sarà scomparsa la disposizione ad affrontare il rischio e il pericolo. Se non sarà sradicata, è assai probabile che la setta non morirà mai e che cambierà solo il suo tradizionale carattere. E il suo cambiamento sarà l’inevitabile prodotto della società del benessere e si verificherà quando la società arricchita fornirà reclute assai diverse da quelle che nel passato erano divenute affiliati capaci di sfidare il pericolo, di affrontare il rischio e di sopportare il sacrificio. Come è avvenuto in tutt’altre circostanze, quando «el galéon funesto matò don Quijote», il suo cambiamento si avrà, quando il miglioramento delle condizioni sociali accrescerà la propensione alla vita comoda e senza rischi e ridurrà la capacità di sopportare il disagio e di affrontare il pericolo. A quel punto, le nuove reclute si riveleranno sempre meno propense a sacrificarsi per conseguire lo scopo dell’associazione o per una causa comune. La loro crescente inattitudine minerà alle fondamenta le cosche, le loro riunioni segrete e i loro piani delittuosi. Negli affiliati diminuiranno la forza e la determinazione, mentre aumenterà la ferocia. In conseguenza di ciò, nell’associazione si creerà lo stesso processo che è proprio della società che invecchia, nella quale gli atti inconsulti e di cieca violenza guadagnano terreno e prevalgono sempre più su quelli equilibrati e razionali. E quando nella società che invecchia crescerà molto il numero dei suoi componenti non più capaci di rischiare, di sacrificarsi e di difendersi dalla prevaricazione e dal sopruso e piuttosto propensi a rassegnarsi e a sottostare alla sopraffazione, le cosche dell’associazione mafiosa saranno tali solo di nome, se non saranno già scomparse per mancanza di reclute. Allora l’onorata società morirà per la vecchiaia della società civile. O come è più probabile, si sarà già trasformata in un’accozzaglia di feroci e caotici delinquenti. Avrà cambiato carattere e fisionomia, anche perché alle reclute tradizionali si saranno sostituite reclute di altra provenienza e di altra attitudine. E le nuove reclute conferiranno un nuovo carattere all’associazione, le cui azioni criminali si sposteranno sempre più dall’imposizione di taglie e di tangenti al traffico di armi e di stupefacenti.
    Nel primo decennio del duemila molti segni inducono a credere che il cambiamento dell’associazione mafiosa sia già iniziato. Tuttavia questo cambiamento non deve far credere che sia in atto la vecchiaia della setta. L’esistenza di migliaia di cosche sparse sul territorio e la persistente virulenza dell’attività mafiosa fanno supporre che al contrario l’associazione mafiosa non è morente. E in realtà la setta si mostrò viva e vegeta, nonostante i provvedimenti presi per combatterla e nonostante le vittorie di Pirro che, di tanto in tanto, riportarono le istituzioni. Si mostrò virulenta, nonostante i successi vantati da mezzo secolo dai rappresentanti delle istituzioni ad ogni battaglia vinta dalle forze dell’ordine o ad ogni cattura di un capo o di un mafioso di rilievo. In ognuna di queste occasioni si cantò vittoria e si ritenne definitivo il successo conseguito e chiusa la partita con l’associazione. Si ritenne sempre che lo Stato era prevalso o, nel più prudente dei casi, che sarebbe prevalso concludendo vittoriosamente la lotta. Ogni volta, ad ogni eccesso della criminalità organizzata, rappresentanti di turno delle istituzioni mostrarono la stessa grinta e la stessa ferma decisione di prendere provvedimenti drastici e di chiudere la partita.
    E ogni volta vinsero la battaglia, ma non chiusero la partita. E nonostante le settoriali sconfitte subite e la perdita di qualche capo, l’associazione mafiosa restò viva e capillarmente operante nelle sue migliaia di cosche.
    Questa radicata presenza della setta nel tessuto sociale sfuggì sempre non solo a politici e a rappresentanti delle istituzioni, ma anche a intellettuali e a esperti conoscitori e sociologi. Più o meno, tutti gridarono al successo riportato con la battaglia vinta e sostennero trionfalmente che la mafia era «alle corde» e che bisognava continuare a perseguirla vincendo altre battaglie e non facendosi «depistare dalle sue strategie messe in atto mediante le rivelazioni di alcuni falsi criminali pentiti».
    Questi inni alla vittoria e al sicuro successo, frequenti negli anni settanta del novecento, in seguito tornarono sempre nei discorsi di politici e negli scritti di esperti ad ogni successo delle forze dell’ordine. […]
    Ha dunque poca importanza sapere che gli affiliati all’associazione mafiosa si arricchiscono e si imborghesiscono; che alcuni di loro sono stati presenti in importanti logge massoniche; che l’associazione talvolta eseguì il mandato di servizi segreti deviati, agenti in ossequio alle direttive di eminenti politici; che, nella sua occulta funzione di sicaria, assassinò integerrimi magistrati non allineati e valorosi membri delle forze dell’ordine; che mafia e mafiosi furono complici di politici e di amministratori e influenzarono e spesso guidarono il potere locale e nazionale mediante il controllo di parte notevole del consenso elettorale. Tutti ne furono e ne sono a conoscenza e, nonostante ciò, non è servito a nulla.
    Anzi la gente si è stancata di sentire ripetere che l’associazione mafiosa condiziona il potere politico ed economico, controlla parte notevole degli elettori e, per conseguenza, degli eletti a tutti i livelli e determina molte loro deliberazioni.
    Quel che non si riesce a capire e a spiegare è la causa di tutto ciò. Ovvero per quale arcano mistero l’associazione mafiosa poté fare, fece e continua a fare tutto questo, nonostante le disquisizioni sul suo conto e i provvedimenti repressivi. Ed è quello che si deve capire, per scoprire il punto vulnerabile e colpire a morte. Ed è quello che si è cercato di scoprire in questo libro.
    La conclusione cui si è giunti rivela l’esistenza di un mostro indefinibile, subdolo, sfuggente e difficilmente perseguibile.
    Il mostro che finora poté fare, fece e continua a fare tanti incalcolabili danni e che uscì sempre pressoché indenne da ogni colpo apparentemente mortale, non è un’entità astratta, una generica e fantomatica associazione che cambia pelle, che si trasforma, che gestisce i propri affari direttamente o tramite mediatori. Non è un’associazione che, qua e là, si rivela più o meno centralizzata e che si identifica con una cupola o con alcuni capi più o meno primule rosse. È al contrario un gran numero di cellule, di cosche o famiglie, di ogni dimensione, presenti in centri abitati e in rioni di grandi città. È un insieme di cosche autonome e autogestite da affiliati convinti di potere e di dovere; e soprattutto di avere il monopolio del malaffare da cui trarre lucro e di dovere imporre, in contrasto con lo Stato, il proprio arbitrario diritto di condizionare e controllare quanto avviene sul territorio che ritengono di loro competenza.
    È questo il mostro dalle mille vite […]

    FRANCESCO CARACCIOLO

    Onorata società e società onorata, pp. 547 e sgg.

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